Il caffè
by Pasquale
Sono un consumatore accanito di caffè. Deve essere amaro ma, quando al distributore automatico dimentico di annullare lo zucchero, mi limito a non mescolare. Mi piace la miscela densa che rimane sul fondo.
Ristretto, normale, lungo, americano? Ognuno ha il suo momento.
Il primo caffè del mattino, scorrendo le notizie sul web, dev'essere ristretto (nonché rigorosamente amaro). Un'ora dopo, con la colazione, si comincia ad allungare, per finire nel lunghissimo a metà mattinata. Strettissimo a chiusura del pasto, si prosegue così allungando e accorciando per seguire il bioritmo della giornata.
Perché l'effetto del caffè sulla produttività al lavoro è evidente e documentato:
A mathematician is a machine for turning coffee into theorems.
(Paul Erdős.)
Un effetto simile, adeguando al ribasso la scala e cambiando settore di attività, capita anche a me. Non so se prevalga l'effetto chimico della caffeina, oppure se semplicemente i neuroni necessari al rituale della tazzina si stacchino, lasciando tutti gli altri a riordinare il tavolo da lavoro virtuale nella testa.
Sta di fatto che, con la tazza fumante a sinistra del foglio, la mano destra riprende con decisione a tracciare idee che sembrano uscire dal nulla: ecco, bastava fare così.
Merito del caffè, probabilmente.
Post pubblicato nel 2011 su Elaborando. Adesso prendo meno caffè, ma il piacere è rimasto intatto.